<it>Dall’emergenza alle priorità: Giorgio Buffa</it>

Dall'emergenza alle priorità: Giorgio Buffa

Giorgio Buffa, Manager Operations at Hamad International Airport

Proprio quando
avevamo acquisito il tema della longevità come valore aggiunto, questa
terribile crisi ci ha reso improvvisamente vulnerabili e fragili sia a livello
personale che di comunità sociale ed economica.
Pensi che si debba mettere nuovamente in discussione il nostro concetto di
benessere e che ne pensi dello speech di Bill Gates che ha "visto "
prima di altri la nuova minaccia a tale modello di benessere?

Oggi, forse come non mai,
ci stiamo ponendo domande cruciali sul futuro della nostra società e del nostro
pianeta, sentendo la responsabilità delle azioni e delle scelte che prenderemo nei
confronti delle generazioni future. In accordo al report
prodotto da Credit Suisse nel 2019 circa la disparità di ricchezza, è stato
osservato come il top 1% della popolazione mondiale detiene circa il 50% degli
asset netti globali. Un simile studio prodotto dall’Oxfam ha evidenziato come centinaia
di milioni di lavoratori, lottando costantemente con salari da povertà, lavorano
in luoghi insicuri e pericolosi con diritti o protezioni minimi o inesistenti;
l’uso delle supply chains a carattere internazionale costringe i paesi più
poveri del mondo a competere sull’economicità della loro forza lavoro ed il global
gender wealth gap
  mostra come, considerando il ritmo attuale dei progressi,
potrebbero volerci secoli in alcuni paesi per colmarsi.

Nel frattempo, secondo lo
studio prodotto dell’Intergovernmental Panel on Climate Change, per evitare
alcuni degli impatti più devastanti causati dai cambiamenti climatici, dovremmo
ridurre le emissioni di carbonio del 45% entro il 2030, per essere carbon
neutral entro il 2050; mentre le analisi condotte dagli scienziati del Goddard
Institute for Space Studies della NASA mostrano che 18 dei 19 anni più caldi della
storia si sono succeduti a partire dal 2001; infine, secondo la Zoology Society
di Londra, negli ultimi 40 anni l’attività umana ha prodotto l’estinzione del
60% delle specie animali viventi sul pianeta.
Tutto questo prodotto da
un PIL mondiale che, in riferimento al suo annual global growth, si
attestava al dicembre 2019 ad un tiepido 2.9%.
Beh, valutando tutto
questo, forse ripensare a questo concetto di “benessere” non sembrerebbe poi
un’idea cosi inopportuna.

In verità, guardando al
recente passato, un’opportunità di riflessione ci era sta già fornita in
occasione della fase post-crisi del 2008/2009. A quel tempo il ben articolato
report creato dalla commissione Stiglitz suggeriva, per uscire da quel momento
e gettare le basi per un futuro migliore, di andare oltre il concetto di GDP;
spostando il focus su nuovi fondamentali parametrati su cui concetti di wellbeing
and sustainability
. Purtroppo, la risposta a quella crisi fu un convulso
ritorno al business as usual  per creare, a qualsiasi costo, posti di
lavoro e basta; la crisi dettata dal Coronavirus ha dimostrato come
quella politiche a corto raggio, in combinato disposto con l’aggravarsi dello
stato del pianeta e delle diseguaglianze sociali, siano state inadeguate per
fronteggiare le difficili e decisive sfide del mondo moderno.
Se Bill Gates abbia visto
prima di altri la potenzialità di questa minaccia, non so; forse la sua voce,
seppur inascoltata, oggi fa molto discutere considerata la caratura del
personaggio. Credo, altresì, che l’argomento pandemia influenzale fosse ben
noto quantomeno agli addetti ai lavori.
Al netto di una copiosa e
multidisciplinare attività di ricerca, già nel 2005, a seguito dell’influenza
aviaria da virus A/H5N1, l’organizzazione Mondiale della Sanità emetteva il WHO
global influenza preparedness plan
, elaborato per assistere gli stati
membri dell’Organizzazione (e le loro rispettive strutture sanitarie, mediche e
di emergenza) nella pianificazione della risposta ad eventuali minacce causate da
una pandemia.
In Italia, in recepimento
di quel documento, il Ministero della Salute e il Dipartimento per la
Protezione Civile nel dicembre 2007 predisposero il “Piano nazionale di
preparazione e risposta ad una pandemia influenzale”,
aggiornato periodicamente
in accordo alle indicazioni della stessa Organizzazione. In ambito
internazionale, in tutti gli stati membri dell’OMS, avveniva lo stesso.
Ma allora, sarebbe lecito
domandarsi, come è stato possibile che tutto questo non abbia funzionato, o
funzionato solo in minima parte? Ed ancora, perché, almeno nel mondo
occidentale, non abbiamo preso seriamente quello che stava accadendo in oriente
alla fine dell’anno passato? Perché ci siamo sentiti così sicuri che quanto
avveniva in China non avrebbe avuto un impatto nelle nostre aziende e nelle
nostre comunità?  È vero, a questo punto
qualcuno potrebbe arguire che quanto successo per magnitudine, severità e
velocità sia stato “semplicemente” più grande di noi; o che, sia semplicemente
impossibile prepararsi in maniera adeguata ad eventi cosi “distruttivi”. Sono
d’accordo, ma una riflessione su quello che abbiamo pensato nei mesi di novembre,
dicembre, e gennaio credo che sia importante da fare.
Forse la nostra
presunzione ha giocato un ruolo importante in questa vicenda; penso che non
abbiamo ascoltato con la dovuta attenzione le persone che avevano intuito la
gravità di quanto stava accadendo; penso a tutte le volte che ci siamo
consolati pensando che le notizie da Wuhan erano delle fake news o delle leve
politiche del regime; penso oggi a tutto il tempo perso dietro le nostre
fallaci certezze…tempo preziosissimo che poteva essere impiegato per studiare
le lessons learned di quelle nazioni e sistemi che per prima avevano
affrontato l’emergenza.
Penso quindi che, a dispetto del nostro ego, questo
virus abbia ancora una volta dimostrato, come scriveva efficacemente Lévinas, che
l’essere umano sia – e sempre lo sarà – vulnerabile e fragile ‘da capo a piedi,
sino alle midolla delle ossa’.

Quali sono le priorità
su cui concentrarsi quando l’emergenza lascerà il posto alla ripresa di una
nuova normalità e saremo chiamati a ricostruire il nostro tessuto economico e
sociale?

In questi giorni mi sto
chiedendo: e se questa emergenza fosse arrivata al “momento giusto”? Al netto di riflessioni
spiritual-religiose, e con profondo cordoglio per la vite che si sono spente e
grande senso di gratitudine per gli operatori sanitari, credo che questa crisi,
forse, abbia avuto un tempismo ragguardevole ed abbia le potenzialità per trasformarsi
in una straordinaria opportunità.
Tre anni fa, mi trovavo
in un momento importante legato al mio percorso accademico presso l’Università
di Warwick; oggetto dei miei pensieri allora era decidere il tema del mio elaborato
di ricerca.
Da una prima analisi del
mio settore industriale osservavo come il tema della sostenibilità non era
ancora nei suoi radar.
Decisi di dedicare
comunque i miei studi ai temi dello Sviluppo Sostenibile, all’Agenda 2030 e le
sue refluenze nell’industria aeroportuale. La redazione dell’elaborato mi portò
ad intervistare nei mesi successivi autorevoli SVPs e CEOs di settore. Con
grande sorpresa osservavo, la straordinaria velocità con cui la percezione sulla
tematica diveniva sempre più importante; gli articoli accademici si
moltiplicavano e l’opinione pubblica, alimentata da significative
manifestazioni di piazza di giovani attivisti, portava sempre più il tema della
sostenibilità al centro dell’agenda politica ed economica internazionale.
Oggi, in piena crisi
Covid-19, faccio fatica ad immaginare, nonostante le tentazioni socioeconomiche
legate a politiche protezioniste di qualche leader, che si disegni la
ripartenza senza considerare il tema della sostenibilità nella sua unitaria
struttura che, simul stabunt simul cadent, contempla i fattori economici,
sociali ed ambientali. Tre variabili che questa crisi, in maniera drammatica,
ha mostrato inequivocabilmente facenti parte della stessa equazione.
La ripresa non potrà
prescindere quindi dal più attuale, ambizioso e condiviso strumento a livello
globale riguardante il tema dello Sviluppo Sostenibile, ovvero l’Agenda 2030 ed
i suoi 17 SDGs. Credo che questo variopinto, olistico ed articolato framework –
come una vera e propria bussola – ci potrà consentire di navigare gli
inesplorati contesti post crisi Covid-19. Dando priorità in una prima fase a
quei Goals di carattere economico e sociale essenziali per sostenere i sistemi
sanitari, risollevare le economie, e proteggere le categorie sociali più
vulnerabili; per concentrarsi in una seconda fase sui Goals afferenti allo
sviluppo di infrastrutture innovative, città sostenibili e consumi responsabili;
accelerando in maniera drastica su quella transizione energetica e digitale già
presente nei piani strategici di governi e grandi aziende e su cui oggi, alla
luce degli eventi, non vi è più motivo di tergiversare.

Quali
opportunità stai cogliendo da questa crisi, quali elementi positivi credi poter
trarre e come pensi di valorizzare l’esperienza, sul piano professionale? Quale
innovazione a livello lavorativo e produttivo pensi possa creare valore
aggiunto?

Durante lo svolgimento di
questa crisi ho colto qualche spunto positivo; ma ancor di più ho osservato
l’impatto deleterio delle pratiche negative sul business: e che da esso devono
essere cancellate quanto prima.

Mi riferisco al non
prendersi cura delle persone che lavorano per e con noi; non solo
di quelle che lavorano alle dirette dipendenze delle nostre aziende, ma, in
particolare, a quelle che lavorano nelle supply chain, o come sub-contractors.
Orari di lavoro pesantissimi, turni di riposo insufficienti, condizioni precarie
dei loro alloggi sono scenari che purtroppo, in determinate aree geografiche,
continuano ad esistere. Ho visto quindi come questi contesti, resi fragili dal
demone del profitto, siano stati i primi a capitolare in una situazione
emergenziale. Pratiche quindi da eliminare se vogliamo, non solo per
validissimi motivi etici, ma per motivi di resilienza del business e reputazione/valore
del brand. Credo quindi che sotto i colpi di questa crisi la shareholder
theory
 
di Milton Friedman abbia davvero fatto il suo tempo.
Circa gli elementi
positivi, non si possono non menzionare quelli afferenti allo smart working.
Sarà impensabile (e insensato) rituffarsi nel traffico ai canonici orari di
ingresso e di uscita dal lavoro. Quindi ben vengano, almeno per le categorie
non operative, nuovi modelli organizzativi capaci di restituire alle persone
flessibilità e autonomia nella scelta degli spazi, degli orari e degli
strumenti da utilizzare.
Altra felice riscoperta
in questa crisi è stata la velocità di esecuzione di alcuni processi in tutti i
suoi cicli; dalla fase di individuazione della criticità, a quella dell’elaborazione
della risposta e la sua implementazione. Stessi processi, in circostanze
normali, avrebbero impiegato mesi, in alcuni contesti forse anni, per la loro
attuazione. Unità di intenti ed esecuzione, burocrazie al servizio dell’uomo e
delle sue opere e non viceversa…patrimonio quindi da non disperdere.

Sono le persone che popolano e guidano le aziende ed i
loro processi, sono loro che ne definiscono il pensiero, la cultura, le azioni;
sono le persone che fanno e faranno sempre la differenza.

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Fondazione Prioritalia