<it>Dall’emergenza alle priorità: Roberta Gambardella</it>

Dall'emergenza alle priorità: Roberta Gambardella

Stiamo imparando la differenza tra le priorità e le urgenze.
Roberta Gambardella, studentessa alla Pontificia Università Lateranense

Come ti poni rispetto all’emergenza che stiamo vivendo, come affronti questa sfida inedita? Parlaci dalla tua esperienza personale: dove ti trovi, come utilizzi le tecnologie per lavorare e/o studiare.

Riesco a descrivere quanto stiamo vivendo con una parola ben precisa: “surreale”. Nessuno si sarebbe atteso un evento di tale gravità. Sento la fatica di questo tempo che mette tutti alla prova, sebbene io mi trovi in un luogo tranquillo, fuori dalla città. Sono tornata dalla mia famiglia in un piccolo  paese nei  pressi  di  Sorrento.  Porto  avanti  il  mio  lavoro  di ricerca  e  studio attraverso piattaforme che l’Università ha messo a disposizione per le lezioni.

Come credi stia cambiando e cambierà il rapporto tra gli esseri umani e le tecnologie, alla luce dell’improvvisa consapevolezza di essere vulnerabili, sia come individui sia come comunità umana?

Sono certa che la condizione in cui siamo stati catapultati d’improvviso, stia facendo prendere coscienza dell’aiuto che la tecnologia può dare. In tempi di lontanaza “forzata” e obbligatoria dai luoghi di lavoro e studio, credo che tutti giovino della compagnia di devices, dallo smart working alle video lezioni, fino alla possibilità di tenersi in contatto virtuale, facilmente. Credo anche che in molti  ci  sia  la  speranza  che  tecnologie avanzate,  in ambito  sanitario possano individuare  più velocemente un’epidemia per isolarla, e individuare strategie teraputiche tali da poter sostenere il lavoro del personale sanitario. Tuttavia, è ovvio che all’umano questo non basta. Nella consapevolezza della sua vulnerabilità, ciascuno è consapevole che neppure uno schermo può sostituire la pienezza di una relazione in “carne e ossa”. In questo periodo, non a caso, mi fa compagnia una frase del filosofo austriaco Martin Buber (1878-1965), che affermava “in principio è la relazione”. L’uomo nel tempo del coronavirus e della pandemia si scopre bisognoso di relazioni, si riscopre come essere che tende-verso qualcosa/qualcuno e che, pertanto, non può bastare a sè, come vuole far credere l’individualismo esasperato ed esasperante degli ultimi secoli. Ugualmente viene ad essere messa in gioco l’idea post-moderna di libertà come assoluto. Al contrario, il tempo dell’epidemia  mostra  quanto  la  nostra  libertà  non  sia  indipendente  dagli  eventi  e  dagli altri, piuttosto è da questi dipendente. La libertà è sempre relativa, perchè legata ad una prossimità.

Quali scenari negativi temi maggiormente, per il prossimo futuro, e quali scenari positivi invece auspichi, sul piano culturale, sociale ed economico?

Temo molto per le ricadute economiche e il tasso di disoccupazione. Mi auguro che all’homo oeconomicus, si continuerà a dara priorità a quelle dimensioni incarnate nell’uomo, ovvero a lui connaturalis: l’essere homo fragilis, homo curans, homo patiens, homo moriens, ma sempre uomo. In tal senso, mi auguro che quanto stiamo vivendo dia consapevolezza a molti della preziosità della vita, sulle ragioni della vità e di quale vita sia degna di essere vissuta.

Quali sono le priorità su cui concentrarsi quando l’emergenza lascerà il posto alla ripresa di una nuova normalità, quando potremo ricominciare a uscire da casa, studiare e lavorare non solo a distanza?

Credo che questo tempo aiuti a ristabilire la classe dei valori. Più chiaramente, questo tempo sta insegnado a distinguere le priorità dalle urgenze. Ciò che è urgente, non è detto che sia prioritario. Credo che questo sia tanto vero per la famiglia. Spero che quando le porte delle nostre case si riapriranno, la cura, l’attenzione, la dedizione per un figlio, un anziano, un genitore, un amico non siano qualcosa da rimandare. Il tempo dell’epidemia insegna quanto prezioso possa essere il trascorrere del tempo con qualcuno.

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