Siamo animali del presente
TommasoPio Danese, studente
in Relazioni di Lavoro, Università degli Studi di Modena e ReggioEmilia
Si è
discusso in maniera molto estesa sulle ripercussioni e sulle conseguenze
sociali di quanto stiamo vivendo nel mondo, a causa dell’emergenza Coronavirus.
Si parla tanto, trascendendo i confini fisici delle relazioni umane, di come sviluppare
un nuovo modo di concepire il sociale in crisi, attraverso il mondo digitale,
ragionando spesso su comunità, responsabilità e senso civico. Uno dei concetti
chiave che incomincia a circolare tra i processi comunicativi contemporanei è
quello di storia, un faro nelle
nostre vite. Tutti cerchiamo di vivere nella storia ed essere parte di un
evento. L’evento è l’imprevisto, è il motore del mondo. Ricerchiamo l’evento,
perchè cerchiamo lo stupore.
Lo stupore
distrugge, crea delle nuove condizioni sociali temporanee e transitorie, figlie
del proprio tempo. Personalmente, ho iniziato a riflettere sul tema, una volta
ascoltate le parole del Presidente del Consiglio Giuseppe Conte al canale
tededesco Ard: "Siamo davanti a una sfida epocale, scriviamo
pagine di storia”. Tali parole potentissime non possono che risuonare nelle
teste di chi ascolta e influenzarle.
La persona tende a vivere per
e dentro delle narrazioni, percepite
sia come mezzi che fini per donare di senso il proprio agire, soprattutto se di carattere collettivo e condiviso, tale da
rendere tali narrazioni un pretesto per liberarsi dal gruppo, allo scopo di
divenire altro rispetto alle condizioni vissute all’interno del collettivo.
La disuguaglianza nasce sempre da uno stato di uguaglianza
percepita, che sia positiva o negativa.
La percezione di comunità e di "tutti sulla stessa
barca" che iniziamo a coltivare in questi mesi di inizio 2020, a mio
avviso, non potrà che alimentare la polarizzazione sociale e culturale che
soprattutto i paesi occidentali hanno sempre vissuto nel corso della loro
storia. La rivoluzione positiva che deriva dal collettivo e dalla massa (che
sia fisica o virtuale) precede sempre l’esaltazione dell’individuo nella sua
pienezza e nelle sue contraddizioni. La massa è uno stato temporaneo, ciò che
resta è storia da ricordare mediante sentimenti differenti, come figlia di quel
tempo passato e percepita in maniera distaccata.
Siamo animali del presente. Tutti noi viviamo il
presente con gli strumenti del contemporaneo.
Il passato difficilmente guiderà i paradigmi e le azioni del
presente, in particolare con dei modelli del passato percepiti come egualitari
e tendenti alla comunità, simili a quanto stiamo vivendo durante questo periodo.
I processi comunicativi alla base dello scambio sociale sono
meccanismi di influenza e di distanziamento
sociale, non fisico, bensì culturale rispetto all’altro attore sociale. Ciò
che viviamo in questi giorni è una sorta di distanziamento sociale fisico, da
cui deriva una esaltazione del digitale, come degno sostituto.
Quello che vivremo in futuro, invece, non sarà altro che il
classico distanziamento sociale-culturale,
che abbiamo vissuto in passato e che continueremo a rivivere. La storia è
il residuo di stati di uguaglianza percepita da gruppi sociali nel passato, è
una sommatoria da cui deriva la necessità futura di liberarsi, al fine di
costruire delle proprie narrazioni trascendenti dal collettivo e abili
nell’alimentare il distanziamento sociale culturale, percepito come sale delle
relazioni e dei processi comunicativi in essere tra le persone.
La massa una
volta fuoriuscita dalla piazza, ritorna società liquida. La massa diviene stanze piuttosto che case. La storia di
quella massa diviene nostalgia e repertorio. Noi dimentichiamo.