Dall’isolamento
in Svezia uno sguardo sull’Italia
Michela Gasperini, Master student at LundUniversity
Sono giornate un po’ strane quelle che si stanno susseguendo in questo periodo. Mi arrivano racconti su quanto
sta
succedendo in
Italia. Tutti stanno
vivendo le
stesse condizioni di disagio, di restrizioni, di lutti, di noia, di tragedie e di mancanze; mentre io…
proseguo la
mia
vita
come al solito.
Poco e nulla è cambiato qui a
Lund, un paese al sud
della Svezia
dove mi sono trasferita a settembre per concludere i miei studi. La Svezia infatti è la pecora nera d’Europa e, fino ad
ora,
la misura più drastica che ha preso è stata quella di evitare gli assembramenti con più di 50 persone.
Mentre il mio Paese sembra stia per collassare, qui tutto procede tranquillamente e, se non fosse per qualche cinese con la
mascherina, mi potrei benissimo
dimenticare che c’è una
pandemia in corso.
C’è poca chiarezza sul perché la Svezia sta andando in
controtendenza al resto
d’Europa e con molta probabilità
le ragioni di questa
scelta scaturiscono da una combinazione di fattori.
Questi vanno
dalla cieca fiducia nel sistema sanitario pubblico al fatto che il governo si sta forse ispirando al modello di
immunità di gregge inizialmente sostenuto da Boris Johnson – anche se non è mai stato esplicitamente
menzionato dalle autorità. Inoltre, il fatto di avere una densità di popolazione di circa 10 milioni di
abitanti (nettamente
inferiore a quella Italiana di circa 60 milioni) e un totale di 23 abitanti per km quadrato (in contrasto con i
200 dell’Italia), potrebbe giocare a loro favore promuovendo un contagio
più
lento e gestibile. Se il loro approccio è illusorio e ingenuo –
come molti italiani in loco stanno
sostenendo
– o se porterà ai risultati auspicati lo si potrà vedere solo con il tempo. Fatto sta che se mi affaccio alla finestra della mia stanza vedo esattamente quello che state vedendo
tutti voi in Italia; la
staticità. Solo che mentre qui da me questo scenario
è la
normalità, lì da voi è il segno di migliaia di vite che sono state stravolte.
Quindi si, continuo ad avere più o meno lo stesso stile di vita che ho avuto fino
ad ora, con qualche
precauzione in
più
come evitare la
palestra o i gruppi di amici troppo
numerosi o la
distanza
di
almeno un metro. Questa
situazione però mi confonde; dovrei fidarmi di questo Paese oppure
pensare che stanno sottovalutando la situazione? Le opinioni contrastanti della comunità scientifica poi non aiutano
di certo. Per alcuni tutta questa situazione che
si è creata
è ridicola dato
che il virus è poco più di
un’influenza e i morti per COVID-19 sono una manciata.
Per altri invece le misure drastiche sono necessarie per contenere i contagi e non pesare sul servizio sanitario pubblico. Per altri ancora chiudere
in
casa una popolazione non farà che peggiorare il sistema immunitario e rendere le persone più vulnerabili al virus. Alcuni parlano di immunità di massa, altri la denigrano. C’è chi colpevolizza i tagli
alla sanità pubblica di qualche anno fa, c’è chi mette in mezzo gli interessi delle case farmaceutiche, c’è chi ripone la fiducia nel vaccino, c’è chi ci butta in mezzo una correlazione con il 5G
e chi invece
con l’inquinamento
dell’aria. Insomma, c’è
una gran confusione!
La mia speranza è che tutto questo porterà qualcosa di buono, anche se questo qualcosa è difficile da intercettare a priori.
Forse un senso più forte di unità nazionale, o forse una voglia di ricominciare che
ci aiuterà a fronteggiare un’inesorabile crisi economica. Magari porterà più investimenti alla ricerca e alla scienza e probabilmente anche una maggiore fiducia nelle istituzioni che stanno cavalcando uno tsunami inaspettato e
di una grandezza inedita. Forse
tutto questo tempo che
ci è
stato forzatamente
concesso farà nascere nuove idee, startup, innovazioni, associazioni, progetti. Magari aumenterà la
consapevolezza che c’è bisogno di risposte più coese a livello europeo, specialmente quando si tratta
di problemi che sorpassano l’idea dell’esistenza di confini. Forse riporterà in Italia parte della produzione di aziende che avevano delocalizzato, incrementando quindi la domanda di forza lavoro, o magari ci costringerà
quest’estate
a viaggiare esclusivamente in
Italia così da rivitalizzare il business
locale e
riscoprire le bellezze del nostro Paese che mezzo mondo ci invidia.
Devo ammettere, però, che molto probabilmente tutto il mio ottimismo è dovuto al fatto che sto
guardando tutto questo dall’esterno. Non so cosa si
provi a vedere Roma, Napoli, Firenze senza
un’anima, a vedere un tuo amico, parente o genitore essere costretto a chiudere bottega, avere tuo nonno o tua nonna in camera intensiva, avere tua madre o
tuo
padre che rischiano la vita a contatto con centinaia di contagiati tutto
il giorno.
Non so cosa si prova ad avere i propri diritti limitati o messi del tutto da parte per fronteggiare l’emergenza. L’unica libertà che è stata negata a me è stata quella di poter
tornare a casa,
e quindi sono rimasta bloccata qui,
a Lund, ad osservarvi da lontano. Una cosa però
posso dirla; vista da qui, l’Italia sta reagendo magnificamente. Lo
sforzo di essere confinati in quattro mura per giorni,
senza sapere quando
si potrà
finalmente tornare a respirare, dimostra un grandissimo
senso civico e responsabilità sociale che fa essere ottimista e orgogliosa di essere italiana.
Vedere come state affrontando questa situazione tutti insieme, con altruismo e preoccupazione per i gruppi più deboli, mi riempie il cuore e mi fa sentire in colpa per non essere lì con voi.
Si dice che i soldi e l’economia governano il mondo,
si pensa che il capitalismo abbia reso l’uomo
individualista, si percepisce che tutto ruota intorno allo sviluppo economico di un paese e che le parole
“crescita” e
“produzione” sono le uniche che contano veramente. Poi è
arrivato accidentalmente un
microrganismo che ci ha messo alla prova e noi abbiamo buttato da parte tutto – i soldi, l’economia, la
crescita, la produzione, l’individualità – e abbiamo risposto con il valore della vita, abbiamo dato priorità
all’unica cosa
che importa, l’essere umano. Siamo riusciti a mettere
in pausa le nostre
frenetiche e
troppo impegnate vite che non ci lasciano rendere conto dell’inesorabile passare del tempo.
Ed è proprio questo che il virus ci sta dando – il tempo.
Ci sta togliendo una scusa che viene utilizzata troppo spesso
e che molte volte è solo una bugia che diciamo a noi stessi per giustificare la mancanza di azione, quella di non avere mai abbastanza ore nella giornata. Se da una parte la quarantena ci regala il tempo, dall’altra
ci sta apparentemente togliendo il potere decisionale, cioè ci sta ordinando cosa non possiamo fare. Ma
è davvero così? Nella nostra quotidianità ci illudiamo di poter decidere quando in realtà i nostri tempi sono
dettati dal datore di lavoro, dai figli, dagli amici, dai genitori, dalla società, e anche se pensiamo di avere la nostra vita sotto controllo molto/troppo spesso andiamo in pilota automatico. La quarantena
invece ci obbliga a decidere come occupare la giornata lasciandoci quindi la
libertà di scelta. D’altro canto, una cosa che questo virus ci sta negando veramente c’è ed è la certezzaquesto virus ci sta dando tempo, potere decisionale e incertezza; se questa combinazione porterà le persone ad avere una coscienza maggiore della propria vita
allora
qualcosa
di buono ne uscirà per forza.
Le sfide
da affrontare per chi è al potere sono moltissime e vanno da
azioni imminenti per sostenere
imprese e famiglie a uno sguardo al lungo termine per come allentare gradualmente le misure
draconiane prese,
tutto questo mantenendo uno storytelling convincente per rassicurare, ma
non
illudere, l’opinione pubblica. In aiuto però è arrivata la tecnologia. I
benefici delle tecnologie a livello
sociale sono
abbastanza visibili a
cominciare
dal fatto
che riescono ad accorciare le
distanze tra
di
noi. Inoltre, ci stanno permettendo di continuare a studiare e lavorare, perlopiù in mutande,
e di questo
ne siamo grati. Ma tecnologie come il machine learning
stanno dando un contributo significativo, forse silenzioso al pubblico, nell’identificare cure medicinali,
introdotte in passato per altre malattie, che potrebbero aiutare
anche a curare i malati di COVID-19. Un po’ più controversa è la
questione del
contact tracing – il tracciamento degli spostamenti. Se per alcuni il sistema di sorveglianza implementato
dalla Corea del Sud rappresenta la soluzione ottimale per rallentare e arrestare i contagi, senza il blocco
totale dell’attività produttiva, altri si preoccupano della violazione di uno dei diritti fondamentali, quello
della privacy. Il metodo sudcoreano infatti prevede una mappatura del virus ricostruita grazie al GPS di
smartphone e macchina e delle carte di credito insieme con il controllo di telecamere di sorveglianza per identificare gli individui venuti in
contatto con i contagiati. Questo
sistema, per quanto efficiente, crea però domande importanti, in
primis chi garantisce che queste tecnologie utilizzate poi spariranno
una volta finita l’emergenza? Misure
prese in periodi di difficoltà e
necessità, inizialmente
pensate per
il
breve termine, molto spesso diventano permanenti,
come suggerisce il celebre storico Yuval Noah Harari sul Financial Times. Ma qui si sta parlando
di una
recessione globale, del tessuto produttivo di
intere nazioni bloccato, di sistemi sanitari pubblici saturi, di risorse che mancano e di centinaia di morti al giorno; tutto questo è abbastanza per giustificare l’utilizzo di modelli di sorveglianza di massa? Io
la
risposta non ce l’ho ma queste sono domande importanti che per quanto possano sembrare specifiche
a questa situazione, in realtà trovano
applicazioni più
generali e si faranno sentire sempre
più
forti fino a quando non daremo
delle risposte coese a
livello internazionale.
Concludo con la speranza che tutta questa situazione si possa placare presto così da poterci impossessare
nuovamente delle nostre vite, magari più consapevoli di prima. Nel frattempo però, è importante non perdere la motivazione e la fiducia e
saper sfruttare al meglio queste giornate di isolamento sociale. Un mio pensiero va a tutti coloro che hanno perso un
loro caro e un
mio grandissimo grazie va a tutte le persone che stanno lavorando incessantemente per il benessere di tutti noi. Sembra incredibile che solo pochi
decenni fa un microrganismo del genere, invisibile ai nostri occhi, ci avrebbe fatto sentire piccoli,
impotenti ed insignificanti, mentre oggi grazie alla scienza, la tecnologia, le istituzioni e la cooperazione
abbiamo i mezzi per gestirlo e sentirci,
forse illudendoci, capaci di controllo.