Elisa Roldo, Talent
Acquisition & Employer Branding Intern presso Marcolin
L’emergenza Coronavirus ricorda all’umanità la sua
vulnerabilità, sia a livello personale sia a livello di comunità sociale ed
economica. Viviamo una crisi, prevista tra gli altri da Bill Gates nel 2015, che mette in discussione il nostro concetto di
benessere: cosa ne pensi?
Siamo arrivati al XXI secolo sentendoci ormai
invincibili: tecnologia, globalizzazione e innovazione continua, nulla sembrava
poterci fermare. E invece, una piccola particella infettiva di dimensioni
submicroscopiche ci ha dimostrato il contrario, scatenando il caos per tutto il
globo.
Non siamo più abituati a sentirci vulnerabili e ciò sta
portando a conseguenze poco gestibili a livello sociale, che stanno mettendo a
dura prova gli apparati governativi. Da un lato persone che crollano
emotivamente arrivando ad avere atteggiamenti estremi e di panico generalizzato,
dall’altro individui che non ritengono l’evento rilevante, che non collaborano
non sentendosi minacciati, abituati a vivere in una condizione di agio e
sicurezza, o addirittura che inneggiano a teorie complottiste.
Il problema sta proprio nell’essersi posti al di sopra di
quello che è il sistema ecologico all’interno del quale siamo inseriti: noi non
possiamo comandarlo, ma dobbiamo piuttosto adattarci rispettandolo. È proprio qui che dobbiamo mettere in discussione il
nostro concetto di benessere e comprendere che una visione antropocentrica non
potrà che avere effetti negativi. Non dobbiamo vederci come degli dèi, ma
piuttosto come parte di un insieme che ha delle regole e con cui dobbiamo
convivere in sintonia.
Quali sono le priorità su cui bisogna concentrarsi
quando l’emergenza lascerà il posto alla ripresa di una “nuova normalità” e
saremo chiamati a ricostruire il nostro tessuto economico e sociale?
La priorità su cui concentrarsi nell’immediato futuro
saranno le persone. Quando si entra in uno stato di emergenza, non si torna più
indietro: la normalità tornerà, ma in modalità differente e non come eravamo
abituati a conoscerla. La mia speranza è che questo evento risvegli nel genere
umano la coscienza di ciò che è importante, per noi, per gli altri e per ciò che
ci circonda. Lo vedo come una specie di “risveglio dell’anima”. Dovremmo
rivedere tante cose: dal sistema economico, alla cooperazione internazionale,
fino alla gestione dei sistemi sanitari e alla ricerca. Ma ciò che più
conta, è il sistema di istruzione. È cruciale concentrarci sulle generazioni
future, sul tramandare loro le competenze dei cittadini del futuro, coloro che
dovranno essere in grado di gestire tutto ciò con una visione nuova,
equilibrata, resiliente.
Quali opportunità stai cogliendo da questa crisi,
quali elementi positivi credi di poter trarre e come pensi di valorizzare
l’esperienza, sul piano professionale? Quali innovazioni derivanti dai
cambiamenti in corso, in particolare nella sfera lavorativa e produttiva, credi
possano rivelarsi un valore aggiunto?
È quasi banale dire che questa crisi ci ha obbligati a
fare un balzo in avanti. Smart working, e-learning, scambio di best practices a
livello internazionale: non si potrà più tornare indietro. Si apre un
periodo di ottime opportunità per tutti i settori produttivi e per tutti i
lavoratori del mondo, dedicato a un lavoro più smart e più rispettoso nei
confronti dell’individuo e dei suoi diritti. Abbiamo ad esempio
l’opportunità di ripensare il sistema di decentramento economico che ha
caratterizzato gli ultimi decenni e che ha mostrato le sue falle nel 2020. Le
situazioni critiche sono quelle che da sempre hanno stimolato l’essere umano a
innovare, ripensare sistemi, migliorare il proprio stile di vita, comprendere
le priorità. Cogliendo in modo positivo le sfide che ci ha posto questa
pandemia, saremo in grado di aprire le porte all’innovazione tecnologica e
sociale e a un agognato sviluppo sostenibile a 360 gradi, liberandoci finalmente
di un modo di pensare che risulta ormai obsoleto.