Il ruolo della tecnologia al tempo del social
distancing
Danilo De Anna,
Corporate Financial Analyst presso Proactiva Consulting
Un mese. Ecco quanto ci è voluto per stravolgere la
vita di tutti, per rendere normale quello che fino a qualche tempo fa sembrava
follia. E all’improvviso le mamme impongono ai propri figli di non uscire e
magari, come alternativa, giocare con i videogiochi. E all’improvviso i social
network non sono più dei fenomeni alienanti da demonizzare ma diventano uno
strumento, tra l’altro tra i più efficaci, per mantenere contatti con le altre
persone e per non sentirsi soli. E all’improvviso lo smart working non è più semplicemente
uno strumento per ottimizzare l’utilizzo degli spazi comuni ma diventa l’unico
modo per salvaguardare la produttività.
In un recente studio
dell’università Harvard si ipotizza, alla luce dei risultati di un modello
matematico, che le misure di distanziamento sociale potrebbero,
eventualmente ad intermittenza e con diversi gradi di rigore, essere necessarie
fino al 2022 per contenere la crisi da COVID 19. Di similare avviso sono
altre prestigiose voci nel mondo scientifico come quella del giornale Nature,
che addirittura preferisce non esprimersi relativamente ad una stima sulla
potenziale durata di questa tipologia di misure. In ogni caso, il mondo
scientifico sembra essere concorde sulla necessità di proseguire con le misure
di distanziamento sociale, viste, insieme alla ricerca medica, come unico
antidoto al male che ci consuma e che, purtroppo, continuerà nel prossimo
futuro a consumarci.
Social distancing
is here to stay.
Alla luce di quanto illustrato, appare a mio avviso
improrogabile una profonda riflessione sociale sul ruolo che la tecnologia
dovrà giocare in questo periodo. Una riflessione che sia razionale, equilibrata
e pragmatica, improntata al miglioramento degli strumenti tecnologici a nostra
disposizione e che, mai come oggi, sia funzionale ad una vita “digitale” sempre
più armoniosamente integrata all’interno della nostra quotidianità sociale.
Mi piacerebbe, a tal proposito, lanciare degli spunti
di riflessione su due tecnologie che stanno caratterizzando la mia vita in
questo periodo di distanziamento sociale, e partirei proprio da quella
tecnologia che tutti, in un modo o nell’altro, stiamo utilizzando in questi
tempi anomali: i social network.
I social network hanno visto negli ultimi anni un
trend interessante, a mio avviso, dal punto di vista della percezione mediatica
dello strumento. Se da un lato negli ultimi anni abbiamo assistito
all’inarrestabile ascesa dei vari Twitter, Instagram, TikTok e al
consolidamento degli evergreen come Facebook e Whatsapp, direttamente
proporzionale è stata la critica rivolta agli stessi da parte di una platea sempre
più nutrita e variegata. Accuse di scarsa utilità, assuefazione, diffusione di
fake news, amplificazione di ideologie razziste e sessiste sono state a più
riprese scagliate nei confronti di questi strumenti.
In questi giorni, tuttavia, i social network sono la
nostra unica finestra sul mondo, la nostra unica opportunità di interazione in
un momento nel quale anche 300 metri diventano una distanza proibitiva, e
consentono sia alle istituzioni che a chi ha influenza su molte persone di
lanciare messaggi di responsabilità e campagne solidali.
Convincendosi alla luce di questa situazione, come ritengo
ormai inevitabile, che i social network fanno parte della nostra vita ed in
alcuni casi riescono anche ad arricchirla, sorge spontaneo l’interrogativo su
quale sia il rapporto che deve legarci, sia in quanto singoli individui che in
quanto comunità, a questi strumenti.
Per predisposizione personale, ritengo che la
demonizzazione di qualsiasi cosa risulti nel medio/lungo termine inutile o,
ancor peggio, dannosa. Ritengo altresì improbabile che i fenomeni negativi che
vengono imputati ai social network, in precedenza parzialmente elencati, possano
essere del tutto debellati. Cosa rimane dunque? L’educazione.
A mio avviso, questa situazione di distanziamento sociale,
nella quale l’utilizzo dei social diventa imprescindibile elemento della vita
di comunità, dovrebbe essere utilizzata per trarre spunti su come educare gli
individui ad un utilizzo di questi strumenti che, quando torneremo ad una vita
sociale normale, le sia complementare e la arricchisca in maniera “sana”.
La tematica dell’educazione apre tra l’altro anche
alla seconda tecnologia che sta rompendo la monotonia della mia vita in questi giorni
di distanziamento sociale: lo smart learning e lo smart working e le
piattaforme ad essi dedicate.
Un paio d’anni fa, durante un colloquio di gruppo per
un posto da consulente aziendale, gli esaminatori ci proposero un business case
nel quale l’obiettivo era cercare di analizzare le implicazioni non ovvie di
alcune tecnologie recenti, ed al mio gruppo toccò la Realtà Virtuale. Quasi
tutti e quasi subito concordammo sul fatto che una potenziale implicazione
della realtà virtuale potesse manifestarsi nella digitalizzazione degli
ambienti di lavoro, vale a dire come “rimpiazzo” tecnologicamente avanzato di
programmi di video meeting e simili. La discussione
ci portò ad analizzare diverse inefficienze del tradizionale sistema
lavorativo, con un particolare focus sul tempo sprecato e sull’inquinamento
generato dagli spostamenti casa-lavoro.
L’obiettivo di questo aneddoto è dimostrare come già
da tempo, persino per degli studenti ancora non introdotti nel mondo del
lavoro, alcuni elementi del tradizionale sistema lavorativo sembrassero delle inefficienze
facilmente superabili attraverso protocolli di smart working.
Negli anni diverse aziende hanno gradualmente
introdotto lo smart working, ma nella gran parte dei casi, almeno per quelle
che sono le mie esperienze e quelle di miei amici e conoscenti, sempre con un
certo grado di timore. E lo stesso discorso, se non in maniera ancora più
marcata, è valido per la scuola.
L’emergenza COVID 19 ci ha invece improvvisamente
catapultati in un mondo di video call e di condivisione di documenti. Un mondo
in cui il valore delle azioni di note piattaforme di video meeting schizzano
alle stelle, salvo poi scoprire falle nella sicurezza delle stesse. L’avvento
di un mondo a cui non eravamo preparati.
Lo smart working può essere una soluzione percorribile
in maniera più massiva e frequente anche una volta terminato questo periodo di
social distancing? Partiamo dai dati. Un recente articolo di Forbes mostra come la maggior parte dei lavoratori in diverse parti
del mondo percepisca di essere più produttivo con lo smart working e
addirittura di stare lavorando di più da casa che in ufficio/azienda. Questo
primo sondaggio sembrerebbe già quasi sufficiente a rendere infondati i
maggiori timori relativi allo smart working.
I dati però, per loro natura, necessitano di
validazione. E la validazione richiede tempo.
Ci si apre di fronte allora, quasi paradossalmente,
una straordinaria opportunità. Questo tempo sospeso di social distancing, che
presumibilmente non si esaurirà nell’immediato futuro, può essere utilizzato
per testare, analizzare e dare forma a quella che sarà la vita sociale post
COVID. Una vita sociale nella quale certamente sempre maggiore sarà la complementarietà
con la tecnologia, non più vista, come è storicamente capitato, come
alternativa.
Il social distancing ha rotto l’inerzia, ha spazzato
via i timori, ci ha catapultato in un mondo sconosciuto nel quale molti retaggi
di tempi che furono sono diventati completamente irrilevanti. La tecnologia è
diventata strumento cardine, mezzo imprescindibile per permetterci una vita
sociale. È un momento che va
sfruttato in maniera costruttiva, che va utilizzato per gettare le linee guida
di quella che sarà la società del domani, nella quale la tecnologia
inevitabilmente assumerà un ruolo sempre più chiave.
È tuttavia un momento che ci ricorda di quanto sia
importante il contatto umano, di quanto possano mancarci semplici gesti come un
abbraccio ad una persona cara. L’uomo è e rimarrà il centro di tutto, e la
sfida post COVID sarà incanalare il progresso tecnologico su binari tali da
renderlo funzionale al progresso sociale. E quindi, quando tutto questo sarà
finito, sarà per me il tempo di mollare per un po’ smartphone e PC, fidi
compagni in questo strano viaggio, e abbracciare forte la mia famiglia. Perché
ad un abbraccio non ci sono alternative.