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30 aprile 2020

Dall'emergenza alle priorità: Giorgio Buffa

Giorgio Buffa, Manager Operations at Hamad International Airport

Proprio quando avevamo acquisito il tema della longevità come valore aggiunto, questa terribile crisi ci ha reso improvvisamente vulnerabili e fragili sia a livello personale che di comunità sociale ed economica.
Pensi che si debba mettere nuovamente in discussione il nostro concetto di benessere e che ne pensi dello speech di Bill Gates che ha "visto " prima di altri la nuova minaccia a tale modello di benessere?

Oggi, forse come non mai, ci stiamo ponendo domande cruciali sul futuro della nostra società e del nostro pianeta, sentendo la responsabilità delle azioni e delle scelte che prenderemo nei confronti delle generazioni future. In accordo al report prodotto da Credit Suisse nel 2019 circa la disparità di ricchezza, è stato osservato come il top 1% della popolazione mondiale detiene circa il 50% degli asset netti globali. Un simile studio prodotto dall’Oxfam ha evidenziato come centinaia di milioni di lavoratori, lottando costantemente con salari da povertà, lavorano in luoghi insicuri e pericolosi con diritti o protezioni minimi o inesistenti; l'uso delle supply chains a carattere internazionale costringe i paesi più poveri del mondo a competere sull'economicità della loro forza lavoro ed il global gender wealth gap  mostra come, considerando il ritmo attuale dei progressi, potrebbero volerci secoli in alcuni paesi per colmarsi.

Nel frattempo, secondo lo studio prodotto dell'Intergovernmental Panel on Climate Change, per evitare alcuni degli impatti più devastanti causati dai cambiamenti climatici, dovremmo ridurre le emissioni di carbonio del 45% entro il 2030, per essere carbon neutral entro il 2050; mentre le analisi condotte dagli scienziati del Goddard Institute for Space Studies della NASA mostrano che 18 dei 19 anni più caldi della storia si sono succeduti a partire dal 2001; infine, secondo la Zoology Society di Londra, negli ultimi 40 anni l’attività umana ha prodotto l’estinzione del 60% delle specie animali viventi sul pianeta.
Tutto questo prodotto da un PIL mondiale che, in riferimento al suo annual global growth, si attestava al dicembre 2019 ad un tiepido 2.9%.
Beh, valutando tutto questo, forse ripensare a questo concetto di “benessere” non sembrerebbe poi un’idea cosi inopportuna.

In verità, guardando al recente passato, un’opportunità di riflessione ci era sta già fornita in occasione della fase post-crisi del 2008/2009. A quel tempo il ben articolato report creato dalla commissione Stiglitz suggeriva, per uscire da quel momento e gettare le basi per un futuro migliore, di andare oltre il concetto di GDP; spostando il focus su nuovi fondamentali parametrati su cui concetti di wellbeing and sustainability. Purtroppo, la risposta a quella crisi fu un convulso ritorno al business as usual  per creare, a qualsiasi costo, posti di lavoro e basta; la crisi dettata dal Coronavirus ha dimostrato come quella politiche a corto raggio, in combinato disposto con l’aggravarsi dello stato del pianeta e delle diseguaglianze sociali, siano state inadeguate per fronteggiare le difficili e decisive sfide del mondo moderno.
Se Bill Gates abbia visto prima di altri la potenzialità di questa minaccia, non so; forse la sua voce, seppur inascoltata, oggi fa molto discutere considerata la caratura del personaggio. Credo, altresì, che l’argomento pandemia influenzale fosse ben noto quantomeno agli addetti ai lavori.
Al netto di una copiosa e multidisciplinare attività di ricerca, già nel 2005, a seguito dell’influenza aviaria da virus A/H5N1, l’organizzazione Mondiale della Sanità emetteva il WHO global influenza preparedness plan, elaborato per assistere gli stati membri dell’Organizzazione (e le loro rispettive strutture sanitarie, mediche e di emergenza) nella pianificazione della risposta ad eventuali minacce causate da una pandemia.
In Italia, in recepimento di quel documento, il Ministero della Salute e il Dipartimento per la Protezione Civile nel dicembre 2007 predisposero il “Piano nazionale di preparazione e risposta ad una pandemia influenzale”, aggiornato periodicamente in accordo alle indicazioni della stessa Organizzazione. In ambito internazionale, in tutti gli stati membri dell’OMS, avveniva lo stesso.
Ma allora, sarebbe lecito domandarsi, come è stato possibile che tutto questo non abbia funzionato, o funzionato solo in minima parte? Ed ancora, perché, almeno nel mondo occidentale, non abbiamo preso seriamente quello che stava accadendo in oriente alla fine dell’anno passato? Perché ci siamo sentiti così sicuri che quanto avveniva in China non avrebbe avuto un impatto nelle nostre aziende e nelle nostre comunità?  È vero, a questo punto qualcuno potrebbe arguire che quanto successo per magnitudine, severità e velocità sia stato “semplicemente” più grande di noi; o che, sia semplicemente impossibile prepararsi in maniera adeguata ad eventi cosi “distruttivi”. Sono d’accordo, ma una riflessione su quello che abbiamo pensato nei mesi di novembre, dicembre, e gennaio credo che sia importante da fare.
Forse la nostra presunzione ha giocato un ruolo importante in questa vicenda; penso che non abbiamo ascoltato con la dovuta attenzione le persone che avevano intuito la gravità di quanto stava accadendo; penso a tutte le volte che ci siamo consolati pensando che le notizie da Wuhan erano delle fake news o delle leve politiche del regime; penso oggi a tutto il tempo perso dietro le nostre fallaci certezze…tempo preziosissimo che poteva essere impiegato per studiare le lessons learned di quelle nazioni e sistemi che per prima avevano affrontato l’emergenza.
Penso quindi che, a dispetto del nostro ego, questo virus abbia ancora una volta dimostrato, come scriveva efficacemente Lévinas, che l’essere umano sia - e sempre lo sarà - vulnerabile e fragile ‘da capo a piedi, sino alle midolla delle ossa’.

Quali sono le priorità su cui concentrarsi quando l’emergenza lascerà il posto alla ripresa di una nuova normalità e saremo chiamati a ricostruire il nostro tessuto economico e sociale?

In questi giorni mi sto chiedendo: e se questa emergenza fosse arrivata al “momento giusto”? Al netto di riflessioni spiritual-religiose, e con profondo cordoglio per la vite che si sono spente e grande senso di gratitudine per gli operatori sanitari, credo che questa crisi, forse, abbia avuto un tempismo ragguardevole ed abbia le potenzialità per trasformarsi in una straordinaria opportunità.
Tre anni fa, mi trovavo in un momento importante legato al mio percorso accademico presso l’Università di Warwick; oggetto dei miei pensieri allora era decidere il tema del mio elaborato di ricerca.
Da una prima analisi del mio settore industriale osservavo come il tema della sostenibilità non era ancora nei suoi radar.
Decisi di dedicare comunque i miei studi ai temi dello Sviluppo Sostenibile, all’Agenda 2030 e le sue refluenze nell’industria aeroportuale. La redazione dell’elaborato mi portò ad intervistare nei mesi successivi autorevoli SVPs e CEOs di settore. Con grande sorpresa osservavo, la straordinaria velocità con cui la percezione sulla tematica diveniva sempre più importante; gli articoli accademici si moltiplicavano e l’opinione pubblica, alimentata da significative manifestazioni di piazza di giovani attivisti, portava sempre più il tema della sostenibilità al centro dell’agenda politica ed economica internazionale.
Oggi, in piena crisi Covid-19, faccio fatica ad immaginare, nonostante le tentazioni socioeconomiche legate a politiche protezioniste di qualche leader, che si disegni la ripartenza senza considerare il tema della sostenibilità nella sua unitaria struttura che, simul stabunt simul cadent, contempla i fattori economici, sociali ed ambientali. Tre variabili che questa crisi, in maniera drammatica, ha mostrato inequivocabilmente facenti parte della stessa equazione.
La ripresa non potrà prescindere quindi dal più attuale, ambizioso e condiviso strumento a livello globale riguardante il tema dello Sviluppo Sostenibile, ovvero l’Agenda 2030 ed i suoi 17 SDGs. Credo che questo variopinto, olistico ed articolato framework - come una vera e propria bussola - ci potrà consentire di navigare gli inesplorati contesti post crisi Covid-19. Dando priorità in una prima fase a quei Goals di carattere economico e sociale essenziali per sostenere i sistemi sanitari, risollevare le economie, e proteggere le categorie sociali più vulnerabili; per concentrarsi in una seconda fase sui Goals afferenti allo sviluppo di infrastrutture innovative, città sostenibili e consumi responsabili; accelerando in maniera drastica su quella transizione energetica e digitale già presente nei piani strategici di governi e grandi aziende e su cui oggi, alla luce degli eventi, non vi è più motivo di tergiversare.

Quali opportunità stai cogliendo da questa crisi, quali elementi positivi credi poter trarre e come pensi di valorizzare l’esperienza, sul piano professionale? Quale innovazione a livello lavorativo e produttivo pensi possa creare valore aggiunto?

Durante lo svolgimento di questa crisi ho colto qualche spunto positivo; ma ancor di più ho osservato l’impatto deleterio delle pratiche negative sul business: e che da esso devono essere cancellate quanto prima.

Mi riferisco al non prendersi cura delle persone che lavorano per e con noi; non solo di quelle che lavorano alle dirette dipendenze delle nostre aziende, ma, in particolare, a quelle che lavorano nelle supply chain, o come sub-contractors. Orari di lavoro pesantissimi, turni di riposo insufficienti, condizioni precarie dei loro alloggi sono scenari che purtroppo, in determinate aree geografiche, continuano ad esistere. Ho visto quindi come questi contesti, resi fragili dal demone del profitto, siano stati i primi a capitolare in una situazione emergenziale. Pratiche quindi da eliminare se vogliamo, non solo per validissimi motivi etici, ma per motivi di resilienza del business e reputazione/valore del brand. Credo quindi che sotto i colpi di questa crisi la shareholder theory  di Milton Friedman abbia davvero fatto il suo tempo.
Circa gli elementi positivi, non si possono non menzionare quelli afferenti allo smart working. Sarà impensabile (e insensato) rituffarsi nel traffico ai canonici orari di ingresso e di uscita dal lavoro. Quindi ben vengano, almeno per le categorie non operative, nuovi modelli organizzativi capaci di restituire alle persone flessibilità e autonomia nella scelta degli spazi, degli orari e degli strumenti da utilizzare.
Altra felice riscoperta in questa crisi è stata la velocità di esecuzione di alcuni processi in tutti i suoi cicli; dalla fase di individuazione della criticità, a quella dell’elaborazione della risposta e la sua implementazione. Stessi processi, in circostanze normali, avrebbero impiegato mesi, in alcuni contesti forse anni, per la loro attuazione. Unità di intenti ed esecuzione, burocrazie al servizio dell’uomo e delle sue opere e non viceversa…patrimonio quindi da non disperdere.

Sono le persone che popolano e guidano le aziende ed i loro processi, sono loro che ne definiscono il pensiero, la cultura, le azioni; sono le persone che fanno e faranno sempre la differenza.



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Data e ora

30 aprile 2020