Sabrina Dubbini, Education Area Coordinator ISTAO, Istituto Adriano Olivetti
L’emergenza
Coronavirus ricorda all’umanità la sua vulnerabilità, sia a livello personale
sia a livello di comunità sociale ed economica. Viviamo una crisi, prevista tra
gli altri da Bill Gates nel 2015, che mette in discussione il nostro concetto
di benessere: cosa ne pensi?
Che la globalizzazione e il potere
di connessione esponenziale a cui il progresso tecnologico ci ha abituati ci
avessero esposto anche a una maggiore fragilità personale e sociale non è una
novità. La facilità e la rapidità con cui i dati e le informazioni si muovono
ormai su scala planetaria e così come l’uso (e l’abuso) di social media erano anche
spesso associati a rischi di sicurezza per la privacy individuale e collettiva.
La nota metafora del battito d’ali
di una farfalla che dall’Asia può scatenare uno tsunami all’altro capo del
mondo ci aveva già offerto spunti di riflessione su come la globalizzazione e
la tecnologia portassero in dote pericoli di “contaminazione” e la necessità di
doverci difendere da “aggressioni” da parte di pericoli esterni, sia di natura
informatica, sia biologica…
Questo per dire che la crisi
pandemica che ci ha colpito non ci ha reso più fragili o vulnerabili: eravamo
entrati in questa condizione di rischio da tempo e ci convivevamo con maggiore
o minore allarmismo secondo il grado di avversione al rischio (o il desiderio
di connessione) che contraddistingue ognuno di noi. Per esempio, sappiamo
tutti che l’adesione a un social comporta il rilascio gratuito e volontario di dati
e di personali informazioni utilizzabili anche a scopi commerciali, ma la
risposta più frequente degli utilizzatori intervistati è spesso del tipo “sono
disposto a correre il rischio se è il prezzo che devo pagare per postare o avere
followers in rete”. Il rischio di contaminazione era in un certo senso comprato
e accettato nel pacchetto in offerta al momento in cui Internet entrava nella
nostra quotidianità.
Il tasso di sviluppo di soluzioni
in tema di cybersecurity ci offriva la misura di questo rischio e una
confortevole tranquillità di poter rincorrere e debellare ogni sorta di “bad
virus”. Di fatto è stato un virus biologico e non informatico a spiazzare tutte
le misure di protezione e a mettere in emergenza l’intero pianeta.
Il nostro modello di sviluppo
economico e sociale aveva già dato segni preoccupanti accendendo spie rosse
nelle menti di molti e mettendo in moto un pensiero collettivo su sostenibilità
e futuro. Il virus Covid 19 ci ha colpito in modo inaspettato e quello che sta
succedendo non segue schemi e piani conosciuti: non dà il tempo di decelerare
un modello di sviluppo in corsa per selezionarne un altro.
Dopo la Cina un rapidissimo precipitare
di eventi ha proiettato persone e comunità in scenari inimmaginabili. La
rapidità e la portata esponenziale di quanto sta accadendo non lascia spazio a
procedure o comportamenti tratti dall’esperienza… e le immagini delle ultime epidemie
mondiali sono vecchie foto ingiallite.
Forse altri eventi catastrofici nel
passato hanno permesso di disporre di un breve tempo per allertare e programmare
una via di fuga, per immagazzinare risorse, per prepararsi psicologicamente e
fisicamente allo scontro. In questo caso non è stato dato tempo per prepararsi,
e chi poteva farlo (i Paesi in cui il virus è entrato più tardi) non ne hanno
approfittato.
Anche chi, come Bill Gates, era
nella condizione di avere informazioni in anticipo e di poter dirigere
strategicamente gli investimenti OMS (almeno per la parte dei suoi
finanziamenti) su un prevedibile “virus 2019” già da 5 anni, fa non ha realizzato
molto più di un video Ted sul tema.
Ora si fanno i conti con questa
imprudenza così come con i ritardi e le negligenze nell’investimento pubblico in
strutture e tecnologie d’avanguardia nei settori della salute, della sicurezza,
della ricerca, portandoli ORA tra le priorità delle agende governative.
Quali sono le
priorità su cui bisogna concentrarsi quando l’emergenza lascerà il posto alla
ripresa di una “nuova
normalità” e saremo chiamati a ricostruire il nostro tessuto economico e
sociale?
Questa emergenza ha posto sotto
l’attenzione di tutti i nodi e le contraddizioni di un modello di crescita e
sviluppo che se pur potente nei meccanismi di globalizzazione è difficilmente controllabile
per il rischio di inquinamento e distruzione del Pianeta, è debole nei
meccanismi di redistribuzione e di solidarietà sociali e transnazionali ed è squilibrato
nella distribuzione di risorse pubbliche tra settori e beni di prima necessità.
Non sono argomenti nuovi. Forse ci
sono ora più evidenze da portare sul tavolo per politiche correttive o per
invertire la rotta. A mio avviso un cielo azzurro a Wuhan e un buco di ozono
che sta per chiudersi sono segnali che dovrebbero indurre a un ripensamento i
governanti ancora più di una manifestazione collettiva.
Questa esperienza, al pari di una
guerra, trasforma equilibri e ruoli, personali, familiari, professionali,
istituzionali. Gli equilibri geopolitici e i flussi internazionali commerciali si
ricombinano sulla base di nuove e pressanti urgenze. Ad esempio sono cambiate
priorità di consumo per cui reperire in tempi brevissimi nuovi beni di prima
necessità come: i disinfettanti, i materiali e i dispositivi di protezione, i sistemi
medicali per la terapia intensiva, ha posto in primo piano la necessità
strategica di abbreviare filiere e garantire scorte e magazzini che i modelli lean
avevano azzerato. Si stanno riconfigurando modelli di business e flussi di scambi
commerciali che influenzeranno la riorganizzazione della logistica così come le
relazioni tra Stati. Si disegnano nuove rotte, si creano nuove alleanze… e
nuove solidarietà.
Il Covid 19 colpisce ricchi e
poveri, deboli e non più solo anziani, soccorritori e medici, governanti e
cittadini, vip e sconosciuti, cinesi, americani, europei e africani. Come
fattore di democratizzazione e livellamento sociale produce stimolo a essere
solidali e supportivi perché ci si sente impotenti e insieme ci si rinforza. In
un mondo evoluto e differenziato la solidarietà comporta una divisione di
compiti e aiuti secondo le diverse caratteristiche competenze e capacità. E può
portare a gesti poco immaginabili qualche tempo fa: l’accoglienza di pazienti
italiani in ospedali tedeschi, l’aiuto alla disinfestazione offerto da
operatori sovietici, le mascherine inviate dalla Cina.
Questa crisi
sta di fatto capovolgendo o accelerando poderosamente tendenze, valori,
comportamenti sociali e lavorativi che era impossibile pensare di cambiare così
rapidamente solo qualche mese fa. Saltano velocemente resistenze e blocchi che
erano divenute assunti fondamentali a giustificare il mantenimento di quanto non
si aveva interesse a cambiare.
I paradigmi invertiti sono già priorità nella forma di opportunità da cogliere per non
ripetere errori del passato. Il primo paradigma invertito è la percezione della
sanità pubblica e del suo ruolo strategico per una situazione di emergenza
nazionale. Lo sforzo e il sacrificio in trincea sopportato da medici e
personale sanitario ha posto sotto gli occhi di tutti la dolorosa evidenza di
inadeguati investimenti nella ricerca e nella cura ma anche la capacità di
tenuta e di assistenzialità rispetto a sistemi sanitari di altri Paesi. Lo
sforzo preventivo o di pronto intervento non può reggersi nel tempo solo
sull’eroismo di medici e personale sanitario. E anche il richiamo di luminari
emigrati e ora richiamati dall’estero come consulenti ministeriali è fonte di
riflessione. La priorità è reinvestire in settori strategici come questi.
Un secondo paradigma nel mondo del
lavoro si sta invertendo: l’autorità di ruolo lascia il campo a un’autorevolezza
di competenza laddove la tecnologica informatica sta disegnando nuovi rapporti
ed equilibri nelle organizzazioni. In molto casi è un’inversione di status
tra le generazioni: le seniority,
meno aggiornate, lasciano spazio alle juniority,
più veloci e intuitive con le nuove tecnologie di connessione. Nel mondo
del lavoro l’emergenza ha definitivamente spazzato via incertezze e resistenze
sull’utilizzo dello smart-working rivalorizzando un “knowledge work” poco
compreso nei modelli tradizionali. E’ prioritario farne tesoro e modellizzare nelle
organizzazioni nuovi ambienti lavorativi e sistemi di reward e welfare.
Altro paradigma in capovolgimento
riguarda le attività considerate al margine della catena e dei processi
creativi di valore: il Paese ringrazia quelle persone che hanno reso possibile
una continuità di assistenza e di produzione nei settori rivelatisi ora fondamentali
e necessari per gli standard minimi di sopravvivenza. Anche mestieri
posizionati nell’immaginario comune al margine dell’efficiente modello
capitalistico di produzione o a rischio con l’avanzare di macchine e tecnologia
si sono rivelati in questa fase indispensabili. Operatori di cura e di servizi
socio-assistenziali che restano a fianco di soggetti fragili che non possono
essere avvicinati dai familiari; operatori che si occupano di pulizia o
smaltimento rifiuti negli ospedali; operatori della logistica e della distribuzione,
autotrasportatori, cassiere… In una condizione come l’attuale la loro
professionalità e competenza viene a contare come quella di medici e di ruoli
più visibili.
E anche in una previsione di
graduale riapertura divengono priorità gli investimenti in competenze e
innovazione di molti e moltissimi ruoli per attrezzarci a fronteggiare
situazioni ad alta imprevedibilità e complessità come l’attuale.
Questo evento che ha colpito
l’intero globo è straordinario nella sua velocità diffusiva e annulla preziosi
intervalli di tempo utili per riflettere analizzare e riprogrammare. Nonostante
ciò siamo già entrati in una nuova condizione di vita e lavoro che ci sta
proiettando in un prossimo quotidiano fatto di una maggiore familiarità con
l’uso della tecnologia insieme con una più attenta programmazione. Siamo
fermi ma non immobili. Siamo in ripresa anche se bloccati e limitati nelle
nostre abitudini professionali e di vita. Siamo in ripresa perché ci
concentriamo già ora sulle priorità di domani. E per la riapertura dovremmo già
consapevolizzarci su nuove priorità.
La prima è la ricerca di soluzioni
per riprendere una convivenza sociale e lavorativa graduale nel rispetto delle
norme di sicurezza. I casi di ritorno e recidiva del Covid ci sono di monito su
come immaginare fin d’ora un riavvicinamento senza rischi per la salute nostra
e degli altri.
Una seconda priorità sarà mantenere
e preservare un equilibrio vita-lavoro che ora l’emergence-working, come lo cita Bruno Lamborghini, ha recuperato mostrandone
gli aspetti positivi in termini di life-balance e di produttività
professionale. Il prossimo obbiettivo sarà dunque migliorare e ottimizzare il
vantaggio acquisito di essere entrati in una nuova era lavorativa e allo stesso
tempo di aver recuperato e reinventati spazi e codici comunicativi con
familiari, soprattutto con le nuove generazioni, che avevano delegato a influencer
e spot preconfezionati manifestazioni emotive e relazioni intime.
Ma non sarà sufficiente se la
dotazione tecnologica non è distribuita uniformemente nel Paese… deve essere
garantita a tutti. Quindi diviene prioritario impegnarsi in modo serio e
concreto per la diffusione di una cultura tecnologica a tutti i livelli della
società quale fattore di accessibilità ed entitlement per i diritti
fondamentali dei cittadini: il diritto alla salute, allo studio, al lavoro, all’assistenza,
al benessere.
Quali
opportunità stai cogliendo da questa crisi, quali elementi positivi credi di
poter trarre e come pensi di
valorizzare l’esperienza, sul piano professionale? Quali innovazioni derivanti
dai cambiamenti
in corso, in particolare nella sfera lavorativa e produttiva, credi possano
rivelarsi un valore
aggiunto?
Anche il paradigma della
formazione esce accelerato da questa crisi: la programmazione scolastica ha
superato (almeno nella maggior parte del Paese) l’esame di stato della sua
tenuta a fronte di una calamità imprevista e dirompente come quella in atto. La
maggior parte degli insegnanti e degli studenti di ogni ordine e grado si sono
adattati velocemente all’uso di piattaforme e lezioni sul web. I docenti sono ora
chiamati a imparare velocemente e ad adeguare tempi e strumenti di
apprendimento.
La qualità e l’efficacia
dell’apprendimento si misura ora anche sulla potenza e coerenza del canale
comunicativo prescelto (piattaforma, streaming…) e quindi ha ricadute anche
sulla definizione di professionalità del docente. Il formatore sarà chiamato a
interpretare e gestire la relazione di apprendimento su nuovi codici e
parametri e sarà misurato anche sulla abilità nel miscelare sapientemente e opportunamente
codici tecnologici con capacità personali e doti relazionali. Imparerà a
conquistare feedback e attenzione da utenti collegati perché l’apprendimento a
distanza richiede format e leve di interazione diverse da quelle in presenza.
La sfida in creatività e
innovazione è ora su come trasformare attività esercitate abitualmente in
presenza (internship, project work, team building) in moduli a distanza.
La tecnologia ci offre nuove
possibilità di riorganizzare l’apprendimento valorizzando le diversità di
genere e di esperienza ma sta a noi educatori farci trovare pronti alle emergenze
del futuro per preparare menti e organizzazioni ad affrontare l’imprevisto. Ovvero,
come allenare menti e organizzazioni alla gestione di situazioni critiche (crisis
management). Occorre creatività per immaginare problemi che ancora non
riusciamo a immaginare: l’immaginazione impossibile di una infermiera di Lodi
ci ha salvato in questa epidemia. Occorre intuito e generosità per accostare
saperi lontani in uno sforzo comune di apprendimento e di problem solving.
Occorrono menti analitiche per lavorare con sempre maggiore velocità e
sicurezza su dati e codici. Occorre anche una capacità di resistenza, buona
salute, fisico in equilibrio per mantenere menti equilibrate e solide. Non mancano
queste doti e queste capacità nel nostro Paese: dobbiamo imparare a usarli e a
fare sistema. Lo sforzo richiederà anche una collaborazione tra sistemi di alta
formazione maggiore rispetto al passato, Per tornare e concludere sulla domanda
iniziale: questa crisi non ci ha reso più fragili di quanto eravamo… non si
tratta di essere fragili ma di essere previdenti e dotati di strumenti coerenti:
visione innovazione, flessibilità e spirito solidale.