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24 aprile 2020

Dall'emergenza alle priorità: Sabrina Dubbini

Sabrina Dubbini, Education Area Coordinator ISTAO, Istituto Adriano Olivetti

L’emergenza Coronavirus ricorda all’umanità la sua vulnerabilità, sia a livello personale sia a livello di comunità sociale ed economica. Viviamo una crisi, prevista tra gli altri da Bill Gates nel 2015, che mette in discussione il nostro concetto di benessere: cosa ne pensi?

Che la globalizzazione e il potere di connessione esponenziale a cui il progresso tecnologico ci ha abituati ci avessero esposto anche a una maggiore fragilità personale e sociale non è una novità. La facilità e la rapidità con cui i dati e le informazioni si muovono ormai su scala planetaria e così come l’uso (e l’abuso) di social media erano anche spesso associati a rischi di sicurezza per la privacy individuale e collettiva.

La nota metafora del battito d’ali di una farfalla che dall’Asia può scatenare uno tsunami all’altro capo del mondo ci aveva già offerto spunti di riflessione su come la globalizzazione e la tecnologia portassero in dote pericoli di “contaminazione” e la necessità di doverci difendere da “aggressioni” da parte di pericoli esterni, sia di natura informatica, sia biologica…

Questo per dire che la crisi pandemica che ci ha colpito non ci ha reso più fragili o vulnerabili: eravamo entrati in questa condizione di rischio da tempo e ci convivevamo con maggiore o minore allarmismo secondo il grado di avversione al rischio (o il desiderio di connessione) che contraddistingue ognuno di noi. Per esempio, sappiamo tutti che l’adesione a un social comporta il rilascio gratuito e volontario di dati e di personali informazioni utilizzabili anche a scopi commerciali, ma la risposta più frequente degli utilizzatori intervistati è spesso del tipo “sono disposto a correre il rischio se è il prezzo che devo pagare per postare o avere followers in rete”. Il rischio di contaminazione era in un certo senso comprato e accettato nel pacchetto in offerta al momento in cui Internet entrava nella nostra quotidianità.

Il tasso di sviluppo di soluzioni in tema di cybersecurity ci offriva la misura di questo rischio e una confortevole tranquillità di poter rincorrere e debellare ogni sorta di “bad virus”. Di fatto è stato un virus biologico e non informatico a spiazzare tutte le misure di protezione e a mettere in emergenza l’intero pianeta.

Il nostro modello di sviluppo economico e sociale aveva già dato segni preoccupanti accendendo spie rosse nelle menti di molti e mettendo in moto un pensiero collettivo su sostenibilità e futuro. Il virus Covid 19 ci ha colpito in modo inaspettato e quello che sta succedendo non segue schemi e piani conosciuti: non dà il tempo di decelerare un modello di sviluppo in corsa per selezionarne un altro.

Dopo la Cina un rapidissimo precipitare di eventi ha proiettato persone e comunità in scenari inimmaginabili. La rapidità e la portata esponenziale di quanto sta accadendo non lascia spazio a procedure o comportamenti tratti dall’esperienza… e le immagini delle ultime epidemie mondiali sono vecchie foto ingiallite.

Forse altri eventi catastrofici nel passato hanno permesso di disporre di un breve tempo per allertare e programmare una via di fuga, per immagazzinare risorse, per prepararsi psicologicamente e fisicamente allo scontro. In questo caso non è stato dato tempo per prepararsi, e chi poteva farlo (i Paesi in cui il virus è entrato più tardi) non ne hanno approfittato.

Anche chi, come Bill Gates, era nella condizione di avere informazioni in anticipo e di poter dirigere strategicamente gli investimenti OMS (almeno per la parte dei suoi finanziamenti) su un prevedibile “virus 2019” già da 5 anni, fa non ha realizzato molto più di un video Ted sul tema.

Ora si fanno i conti con questa imprudenza così come con i ritardi e le negligenze nell’investimento pubblico in strutture e tecnologie d’avanguardia nei settori della salute, della sicurezza, della ricerca, portandoli ORA tra le priorità delle agende governative.


Quali sono le priorità su cui bisogna concentrarsi quando l’emergenza lascerà il posto alla ripresa di una “nuova normalità” e saremo chiamati a ricostruire il nostro tessuto economico e sociale?

Questa emergenza ha posto sotto l’attenzione di tutti i nodi e le contraddizioni di un modello di crescita e sviluppo che se pur potente nei meccanismi di globalizzazione è difficilmente controllabile per il rischio di inquinamento e distruzione del Pianeta, è debole nei meccanismi di redistribuzione e di solidarietà sociali e transnazionali ed è squilibrato nella distribuzione di risorse pubbliche tra settori e beni di prima necessità.

Non sono argomenti nuovi. Forse ci sono ora più evidenze da portare sul tavolo per politiche correttive o per invertire la rotta. A mio avviso un cielo azzurro a Wuhan e un buco di ozono che sta per chiudersi sono segnali che dovrebbero indurre a un ripensamento i governanti ancora più di una manifestazione collettiva.

Questa esperienza, al pari di una guerra, trasforma equilibri e ruoli, personali, familiari, professionali, istituzionali. Gli equilibri geopolitici e i flussi internazionali commerciali si ricombinano sulla base di nuove e pressanti urgenze. Ad esempio sono cambiate priorità di consumo per cui reperire in tempi brevissimi nuovi beni di prima necessità come: i disinfettanti, i materiali e i dispositivi di protezione, i sistemi medicali per la terapia intensiva, ha posto in primo piano la necessità strategica di abbreviare filiere e garantire scorte e magazzini che i modelli lean avevano azzerato. Si stanno riconfigurando modelli di business e flussi di scambi commerciali che influenzeranno la riorganizzazione della logistica così come le relazioni tra Stati. Si disegnano nuove rotte, si creano nuove alleanze… e nuove solidarietà.

Il Covid 19 colpisce ricchi e poveri, deboli e non più solo anziani, soccorritori e medici, governanti e cittadini, vip e sconosciuti, cinesi, americani, europei e africani. Come fattore di democratizzazione e livellamento sociale produce stimolo a essere solidali e supportivi perché ci si sente impotenti e insieme ci si rinforza. In un mondo evoluto e differenziato la solidarietà comporta una divisione di compiti e aiuti secondo le diverse caratteristiche competenze e capacità. E può portare a gesti poco immaginabili qualche tempo fa: l’accoglienza di pazienti italiani in ospedali tedeschi, l’aiuto alla disinfestazione offerto da operatori sovietici, le mascherine inviate dalla Cina.

Questa crisi sta di fatto capovolgendo o accelerando poderosamente tendenze, valori, comportamenti sociali e lavorativi che era impossibile pensare di cambiare così rapidamente solo qualche mese fa. Saltano velocemente resistenze e blocchi che erano divenute assunti fondamentali a giustificare il mantenimento di quanto non si aveva interesse a cambiare.

I paradigmi invertiti sono già priorità nella forma di opportunità da cogliere per non ripetere errori del passato. Il primo paradigma invertito è la percezione della sanità pubblica e del suo ruolo strategico per una situazione di emergenza nazionale. Lo sforzo e il sacrificio in trincea sopportato da medici e personale sanitario ha posto sotto gli occhi di tutti la dolorosa evidenza di inadeguati investimenti nella ricerca e nella cura ma anche la capacità di tenuta e di assistenzialità rispetto a sistemi sanitari di altri Paesi. Lo sforzo preventivo o di pronto intervento non può reggersi nel tempo solo sull’eroismo di medici e personale sanitario. E anche il richiamo di luminari emigrati e ora richiamati dall’estero come consulenti ministeriali è fonte di riflessione. La priorità è reinvestire in settori strategici come questi.

Un secondo paradigma nel mondo del lavoro si sta invertendo: l’autorità di ruolo lascia il campo a un’autorevolezza di competenza laddove la tecnologica informatica sta disegnando nuovi rapporti ed equilibri nelle organizzazioni. In molto casi è un’inversione di status tra le generazioni: le seniority, meno aggiornate, lasciano spazio alle juniority, più veloci e intuitive con le nuove tecnologie di connessione. Nel mondo del lavoro l’emergenza ha definitivamente spazzato via incertezze e resistenze sull’utilizzo dello smart-working rivalorizzando un “knowledge work” poco compreso nei modelli tradizionali. E’ prioritario farne tesoro e modellizzare nelle organizzazioni nuovi ambienti lavorativi e sistemi di reward e welfare.

Altro paradigma in capovolgimento riguarda le attività considerate al margine della catena e dei processi creativi di valore: il Paese ringrazia quelle persone che hanno reso possibile una continuità di assistenza e di produzione nei settori rivelatisi ora fondamentali e necessari per gli standard minimi di sopravvivenza. Anche mestieri posizionati nell’immaginario comune al margine dell’efficiente modello capitalistico di produzione o a rischio con l’avanzare di macchine e tecnologia si sono rivelati in questa fase indispensabili. Operatori di cura e di servizi socio-assistenziali che restano a fianco di soggetti fragili che non possono essere avvicinati dai familiari; operatori che si occupano di pulizia o smaltimento rifiuti negli ospedali; operatori della logistica e della distribuzione, autotrasportatori, cassiere… In una condizione come l’attuale la loro professionalità e competenza viene a contare come quella di medici e di ruoli più visibili.

E anche in una previsione di graduale riapertura divengono priorità gli investimenti in competenze e innovazione di molti e moltissimi ruoli per attrezzarci a fronteggiare situazioni ad alta imprevedibilità e complessità come l’attuale.

Questo evento che ha colpito l’intero globo è straordinario nella sua velocità diffusiva e annulla preziosi intervalli di tempo utili per riflettere analizzare e riprogrammare. Nonostante ciò siamo già entrati in una nuova condizione di vita e lavoro che ci sta proiettando in un prossimo quotidiano fatto di una maggiore familiarità con l’uso della tecnologia insieme con una più attenta programmazione. Siamo fermi ma non immobili. Siamo in ripresa anche se bloccati e limitati nelle nostre abitudini professionali e di vita. Siamo in ripresa perché ci concentriamo già ora sulle priorità di domani. E per la riapertura dovremmo già consapevolizzarci su nuove priorità.

La prima è la ricerca di soluzioni per riprendere una convivenza sociale e lavorativa graduale nel rispetto delle norme di sicurezza. I casi di ritorno e recidiva del Covid ci sono di monito su come immaginare fin d’ora un riavvicinamento senza rischi per la salute nostra e degli altri.

Una seconda priorità sarà mantenere e preservare un equilibrio vita-lavoro che ora l’emergence-working, come lo cita Bruno Lamborghini, ha recuperato mostrandone gli aspetti positivi in termini di life-balance e di produttività professionale. Il prossimo obbiettivo sarà dunque migliorare e ottimizzare il vantaggio acquisito di essere entrati in una nuova era lavorativa e allo stesso tempo di aver recuperato e reinventati spazi e codici comunicativi con familiari, soprattutto con le nuove generazioni, che avevano delegato a influencer e spot preconfezionati manifestazioni emotive e relazioni intime.

Ma non sarà sufficiente se la dotazione tecnologica non è distribuita uniformemente nel Paese… deve essere garantita a tutti. Quindi diviene prioritario impegnarsi in modo serio e concreto per la diffusione di una cultura tecnologica a tutti i livelli della società quale fattore di accessibilità ed entitlement per i diritti fondamentali dei cittadini: il diritto alla salute, allo studio, al lavoro, all’assistenza, al benessere

Quali opportunità stai cogliendo da questa crisi, quali elementi positivi credi di poter trarre e come pensi di valorizzare l’esperienza, sul piano professionale? Quali innovazioni derivanti dai cambiamenti in corso, in particolare nella sfera lavorativa e produttiva, credi possano rivelarsi un valore aggiunto?

Anche il paradigma della formazione esce accelerato da questa crisi: la programmazione scolastica ha superato (almeno nella maggior parte del Paese) l’esame di stato della sua tenuta a fronte di una calamità imprevista e dirompente come quella in atto. La maggior parte degli insegnanti e degli studenti di ogni ordine e grado si sono adattati velocemente all’uso di piattaforme e lezioni sul web. I docenti sono ora chiamati a imparare velocemente e ad adeguare tempi e strumenti di apprendimento.

La qualità e l’efficacia dell’apprendimento si misura ora anche sulla potenza e coerenza del canale comunicativo prescelto (piattaforma, streaming…) e quindi ha ricadute anche sulla definizione di professionalità del docente. Il formatore sarà chiamato a interpretare e gestire la relazione di apprendimento su nuovi codici e parametri e sarà misurato anche sulla abilità nel miscelare sapientemente e opportunamente codici tecnologici con capacità personali e doti relazionali. Imparerà a conquistare feedback e attenzione da utenti collegati perché l’apprendimento a distanza richiede format e leve di interazione diverse da quelle in presenza.

La sfida in creatività e innovazione è ora su come trasformare attività esercitate abitualmente in presenza (internship, project work, team building) in moduli a distanza.

La tecnologia ci offre nuove possibilità di riorganizzare l’apprendimento valorizzando le diversità di genere e di esperienza ma sta a noi educatori farci trovare pronti alle emergenze del futuro per preparare menti e organizzazioni ad affrontare l’imprevisto. Ovvero, come allenare menti e organizzazioni alla gestione di situazioni critiche (crisis management). Occorre creatività per immaginare problemi che ancora non riusciamo a immaginare: l’immaginazione impossibile di una infermiera di Lodi ci ha salvato in questa epidemia. Occorre intuito e generosità per accostare saperi lontani in uno sforzo comune di apprendimento e di problem solving. Occorrono menti analitiche per lavorare con sempre maggiore velocità e sicurezza su dati e codici. Occorre anche una capacità di resistenza, buona salute, fisico in equilibrio per mantenere menti equilibrate e solide. Non mancano queste doti e queste capacità nel nostro Paese: dobbiamo imparare a usarli e a fare sistema. Lo sforzo richiederà anche una collaborazione tra sistemi di alta formazione maggiore rispetto al passato, Per tornare e concludere sulla domanda iniziale: questa crisi non ci ha reso più fragili di quanto eravamo… non si tratta di essere fragili ma di essere previdenti e dotati di strumenti coerenti: visione innovazione, flessibilità e spirito solidale.

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Data e ora

24 aprile 2020